Il 90% delle case andò distrutto. Vent'anni dopo le terribili immagini del disastro erano ancora impresse nell'anima di uno scrittore siciliano, leonardo Sciascia: "Ricordo le macerie, l'oscurità il battere della pioggia sulle tende, la febbre che era negli occhi dei sopravvissuti".
La nuova Gibellina è stata ricostruita un pò più il là, chiamando a raccolta i migliori architetti e artisti italiani dell'epoca, con l'intenzione di farne una città che si presentasse come un grande museo all'aperto.
Fu convocato anche Alberto Burri, l'interprete più radicale dell'arte informale che, per realizzare le sue opere, aveva utilizzato le più vili materie quotidiane.
Tra il 1985 e il 1989 Burri realizzò una versione monumentale dei suoi celebri Cretti. Le macerie del centro storico di Gibellina furono distrutte dai bulldozer dell'esercito, raccolte e tenute insiemecon delle reti metalliche. Sopra quei blocchi vennero quindi colati fiumi di cemento liquido. Il risultato fu sorprendente: un gigantesco cretto bianco di 300 per 400 metri, 12 ettari, ben visibile da lontano e percorribile a piedi, che nasconde le rovine. Ogni blocco misura dai 10 ai 20 metri di lato ed è alto 1,60 metro, mentre i solchi sono larghi dai dai 2 ai 3 metri. da un'altura sul fianco destro il Grande Cretto di Burri, la più grande opera d'arte ambientale in Italia e una delle più celebri nel mondo, si può osservare da vicino, immensa superficie ondulata percorsa di crepe profonde che richiamano subito alla mente le ferite inferte da terremoto e alla popolazione che lo abitava.
Tonino bentornato!
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